2022: fuga dall’Italia!
In queste settimane stiamo leggendo da più parti di un fuggifuggi.
Non che sia qualcosa di tanto differente rispetto al recente passato, ma certo tra le December Mares di Tattersalls e la futura Vente d’Elevage di Arqana, è stato iscritto – e in parte già anche venduto – molto del meglio del sangue femminile italiano delle ultime stagioni.
Questo – che viene presentato (forse esagerando) come una sorta di dispersal – rappresenta un segnale da non sottovalutare per l’ippica italiana e, come nostro costume, non ci nascondiamo dietro un piagnisteo ipocrita e anche a costo di far arrabbiare qualcuno cerchiamo di aprire il dibattito sulle ragioni alla base di questa scelta.
La prima motivazione, quella più lampante, è senza dubbio che all’estero sia presente un mercato ampio e attivo, interessato a integrare con nuovi prodotti in arrivo dall’Italia il già cospicuo parco fattrici.
Innegabile che l’esistenza di una vera industria dell’allevamento sia un vantaggio non da poco. Molto banalmente, dove vendi meglio un prodotto? Dove c’è richiesta, è una delle regole base dell’economia.
Qui da noi non esiste qualcosa di paragonabile. Al più possiamo parlare di una nicchia di passione, quasi incosciente e certamente non basata su una reale aspettativa di ritorno economico dell’attività.
Ma a questo, che è certamente un fatto incontrovertibile, si legano una serie di altri fattori che rendono talvolta poco remunerativo e logico portare alcune out of training alle aste estere.
Premessa fondamentale, ognuno è libero di presentare e vendere i propri cavalli ovunque voglia e per il prezzo che ritiene giusto, qui ci si confronta su una cosa differente, cioè sulle ragioni di una scelta e non si vuole obbligare nessuno a cambiare le proprie azioni.
Detto questo è innegabile che per le cavalle italiane da sei cifre, diventi obbligatorio guardare all’estero. Quel piccolo manipolo che annualmente rappresenta il top nostrano e che ha vinto Gruppi o è pluri-piazzato in Gruppo, è abbastanza normale che venga subito indirizzato oltre confine. Per le altre, la maggioranza, quelle comunque ottime ma che sono da Listed o appena sotto, vincenti o piazzate che siano, forse non è sempre conveniente intraprendere la via dell’estero. O almeno, i risultati degli ultimi anni ci dicono che spesso il gioco non valga la famosa candela.
Questo per un motivo principale, la forma italiana – per tutta una serie di ragioni che sapete bene e che non sto a ricordare – viene sottostimata all’estero. Una piazzata di Listed in Italia, rispetto a una cavalla con il medesimo risultato all’estero, a parità di genealogia, vale quantomeno la metà, anzi ancora di meno. I risultati medi in asta degli ultimi tre o quattro anni dicono questo e giusta o sbagliata che sia tale bassa valutazione questa è la realtà.
Eppure tali cavalle vengono comunque presentate molto spesso a Newmarket o a Deauville, o altrove, purché sia estero.
E qui si apre il vero nodo, che vorrei discutere assieme a voi. Siamo sicuri che questo genere di cavalle, quelle appunto che sono sì buone ma non rappresentano il super top italiano, non troverebbero acquirenti anche qui da noi?
In tutto onestà sono arciconvinto che queste cavalle, per la stragrande maggioranza, non solo troverebbero un acquirente, ma anche che il venditore otterrebbe un profit più elevato rispetto a quello che otterrebbe passando a un’asta estera.
Questo perché i prezzi in queste aste, come detto, per questo genere di prodotti sono molto inferiori rispetto agli omologhi esteri e quindi sono prezzi che gli allevatori italiani sarebbero disposti a pagare. Alla fine parliamo di massimo una decina di cavalle con un prezzo medio d’asta che oscilla tra i 10mila e i 20mila, mille euro in più o in meno. Davvero non troverebbero una destinazione qui da noi?
In aggiunta, quei prezzi ottenuti in asta vanno depurati dei costi di preparazione e presentazione, del trasporto, dell’iscrizione all’asta e della provvigione da pagarsi alla casa d’aste. Un prezzo d’asta di 15mila euro, valore puramente ipotetico, al netto di tali importi si avvicina molto a 10mila euro nelle tasche del Proprietario venditore. E nemmeno sto a valutare quanto pesi sul valore della cavalla l’alea di un’asta, che è vero può andarti bene, ma è vero altrettanto che può portarti a un risultato inferiore alle attese, soprattutto quando non hai un prodotto che all’estero è oggetto di ricerca spasmodica.
Eppure questa considerazione non smuove le scelte dei venditori, perché?
Molto spesso chi presenta cavalle all’estero ne ha presentate altre anche gli anni scorsi quindi ha già avuto modo di affrontare la realtà. Così come parliamo spesso di venditori super smaliziati, presenti a tutte le più importanti aste del settore, dai foal fino al materiale di allevamento, quindi sanno bene ogni prezzo e valutazione. La ragione dunque non può essere una mancanza di conoscenza.
Credo che impattino due ulteriori ordini di motivi: uno psicologico e uno pratico.
Mentalmente, siamo sinceri, passare un prodotto a un’asta estera dà maggiore soddisfazione rispetto a farlo a un’asta italiana oppure a venderlo all’amichevole. Non sottostimate questo fatto, credo abbia una rilevanza basilare.
Essere presente, da protagonista, in un contesto come Newmarket (o Deauville vale uguale) reca una grande iniezione di autostima, un po’ come un attore che dopo una stagione in provincia, si trova a potersi esibire alla Scala. Magari il compenso per lui è lo stesso, o forse anche minore visto che la parte è più piccola, ma immaginate l’orgoglio di calcare quello che è il palcoscenico più ammirato al mondo.
Tornando all’ippica, il ring, le tribune, il contorno, il solo fatto di andare all’estero in una delle patrie dello sport che amiamo, vi assicuro che è qualcosa di impagabile, altroché Mastercard. Pensateci e vedrete che quanto riportato non è un’iperbole, del resto è anche uno dei motivi che porta molti acquirenti a preferire puledri esteri rispetto ai nostri.
Ma poi esiste anche un aspetto pratico, cioè l’assenza di un collegamento funzionante e funzionale, che metta in contatto le parti in causa, cioè il Proprietario venditore e l’allevatore potenziale acquirente.
Vi assicuro che una grande fetta di allevatori non viene nemmeno a conoscenza, nei tempi corretti, quindi prima che vengano iscritte alle aste, del fatto che le tali cavalle sono in vendita, non parlo di prezzi, ma del semplice fatto che alcune cavalle sono sul mercato.
Come ho già detto, non mi riferisco a quelle cavalle dai centomila euro a salire, ma a quelle appunto che hanno prezzi molto inferiori. E questo avviene sia per il suddetto motivo psicologico, sia perché forse si difetta di un reale punto di contatto.
L’impressione è che manchi innanzitutto una casa d’aste che faccia “scouting” in maniera efficace e non soltanto aspetti che le scuderie iscrivano i cavalli alle aste.
Ovvio che per avere certi cavalli si debba fare un’opera profonda di convincimento e si debbano prospettare tutta una serie di benefici (leggasi anche minori costi), ma se non lo fa una casa d’aste che è partecipata al 100% dalla Associazione Allevatori Italiana, chi lo deve fare? Chi può avere maggiore interesse di loro a far sì che almeno una parte di queste cavalle rimanga in Italia?
Lavoro facile? No, assolutamente, anzi almeno inizialmente saranno più i no dei sì, ma credo che un tentativo di cambiare approccio vada tentato, altrimenti tra poco le aste, online o meno, non si potranno più nemmeno organizzare, quindi anche solo per istinto di conservazione si dovrebbe operare un deciso cambio di rotta.
Ma detto delle difficoltà delle aste, è comunque strano che il venditore non esplori a priori una vendita in Italia all’amichevole. Non so se sia una ragione di segretezza, forse si ha paura di deprezzare la cavalla a dire che è sul mercato, ma insomma se uno ha una cavalla piazzata o vincitrice di Listed più o meno dovrebbe sapere qual è il suo reale valore e soprattutto in un mondo piccolo come il nostro non dovrebbe essere così difficile contattare chi davvero può essere interessato. Poi magari non si riesce a trovare un accordo, ma credo che un tentativo vero vada almeno esplorato.
Se non lo si fa e vi assicuro che è così almeno nella maggioranza dei casi, si vede che si ritiene non vantaggioso farlo e avendo visto sopra che tutto sommato non è una questione di soldi, si ritorna alla questione psicologica, cioè si ritiene che a venderla in Italia si svaluti la cavalla stessa.
Questa disamina come detto in apertura vuole solo essere uno sprone al dibattito, un sasso gettato in uno stagno che presenta una calma piatta preoccupante. Ripeto, nessuno vuole insegnare come e dove vendere i propri cavalli, ma è solo un modo per cercare di capire se dobbiamo rassegnarci a una fine ingloriosa del nostro allevamento oppure possiamo magari rendere più facili i rapporti e soddisfare le esigenze di tutti, Proprietari venditori e Allevatori.
Chiudiamo con una battuta, quando leggiamo titoli giustamente ad effetto come “AAA… Allevamento Italiano cercasi”, sarebbe anche opportuno porsi una domanda: abbiamo inserito l’annuncio nella bacheca giusta?
Antonio Viani@DerbyWinnerblog
2 dicembre 2022 alle 16:53
Sarà pur vero che “piccolo è bello”……ma se diventa troppo piccolo assume connotati di irreversibile autolesionismo. Si dovrebbe ricreare un mercato che seppur piccolo rimane sempre mercato, quindi un improcrastinabile aumento di soggetti.
"Mi piace""Mi piace"