A cavallo di un’epoca
Pio Bruni ci ha lasciati.
Premetto subito che non ho mai apprezzato le commemorazioni scritte per le persone che se ne vanno, i cosiddetti coccodrilli.
Non perché non si debba rendere il giusto ricordo e onore a persone rilevanti, e Pio Bruni è senza alcun dubbio una di queste, ma solo perché spesso questi ricordi si riducono a poche righe dove la reale personalità del defunto non viene alla luce e dove si preferisce una spesso asettica agiografia.
Quindi questo ricordo sarà unicamente incentrato su come io ho conosciuto, anzi, su come io ho “vissuto” il mito Pio Bruni, tralasciando i suoi grandi successi in pista come proprietario e allevatore e come dirigente ippico.
Il primo ricordo che mi affiora alla mente è il mio debutto alla Tribuna del Peso di Milano.
Frequento gli ippodromi fin da piccolo, sia trotto sia galoppo, ma vi assicuro che per un ragazzo poco più che adolescente entrare nel sancta sanctorum dell’ippica italiana non è passaggio da poco. Ogni personaggio che incontravo mi ricordava un determinato cavallo per il quale avevo gioito o peggio che avevo “maledetto” per aver battuto il mio idolo del momento, insomma mi sembrava di essere un intruso al grande ballo.
Ero con mio padre e fu lui a presentarmi al Cavalier Bruni.
Potrei raccontarvi di aver sentito un brivido stringendo la sua mano, ma vi direi una bugia, la verità è che non ricordo in maniera particolare quella stretta di mano, suppongo fosse molto simile a quella di altre persona, ma differente era il suo sorriso.
Un sorriso furbo, che se da un lato ti dava il benvenuto, dall’altro ti faceva capire che l’esame era appena iniziato e non era così scontato che potesse finire con una promozione.
Sarà stato il mio essere sempre bastian contrario ma ho apprezzato quel sorriso, come se fosse il fischio d’inizio di un confronto fatto di dibattiti e scambi di idee.
Infatti il mio ricordo del mitico Pio è legato alle tante volte che seduti ai tavolini della sala del camino dell’ippodromo di San Siro abbiamo discusso di ippica.
Ammetto che spesso non abbiamo avuto la stessa visione, diciamo pure che erano più le volte che la pensavamo in maniera opposta, ma devo ammettere che non l’ho mai sentito lamentarsi o cercare di imporre una sua idea e se solo conoscete qualche ippico sapete bene che questa è cosa più unica che rara.
Sempre con quel suo sorriso furbo, ribatteva ogni mia proposta (ho il sospetto che qualche volta si divertisse a prendere le parti contrarie alle mie per vedere le mie reazioni) magari aggiungendo un aneddoto tratto dal suo immenso baule di ricordi.
Detto tra noi, era impossibile spuntarla con lui, al massimo potevi sperare di perdere in foto o nei casi più rari un primo ex-æquo.
In questi giorni mi sono spesso fermato a pensare che la sua perdita sarà incolmabile, che la mente brillante di Pio mancherà come l’aria al nostro settore, che la sua esperienza più che cinquantennale è andata persa per sempre e che il non aver voluto “formare” un successore è stata una scelta poco sensata da parte sua.
Ma poi penso che alla fine, ancora una volta, ha avuto ragione lui.
Come può un Cavaliere che ha partecipato all’ultima carica di cavalleria dello storia italiana, quella di Isbuscenskij, che ha assistito all’incontro tra Mussolini e il Cardinale Schuster nel 1945, un uomo che ha conosciuto personaggi come il Generale Cadorna o Enrico Mattei. Una persona soprattutto che fino all’ultimo giorno dei suoi 101 anni ha sempre avuto la voglia di essere attore principale della storia ippica.
Un uomo simile come può avere un successore? Semplicemente impossibile.
Quando un personaggio così rilevante ci lascia, l’unica cosa che possiamo fare è raccoglierne il testimone da terra, non pensando di poterlo copiare, ma piuttosto facendo del nostro meglio per onorarne il ricordo continuando la battaglia per l’ippica che lui non ha mai smesso di combattere.
Ippica, alla Carica!
Antonio Viani@DerbyWinnerblog